Se chiedessimo a dieci dei nostri amici la prima parola che associano a “Lampedusa”, molto probabilmente il 100% di loro risponderebbe: sbarchi, migranti, morte.
Suo malgrado quest’isola, asserragliata nel mezzo del mare da politiche inconcludenti e stereotipi duri a morire, è entrata nell’immaginario comune per le sue storie disperate e durissime. Proporre un punto di vista diverso che mostri una Lampedusa non solo vittima ma anche protagonista del suo presente non è impresa facile.
Ci prova da sei anni il collettivo Askavusa con il LampedusainFestival, che inizia oggi e va avanti fino al 30 settembre. Askavusa vuol dire “a piedi scalzi”, che è il modo in cui si nasce e anche quello in cui molte persone rinascono a Lampedusa. Il collettivo si forma nel 2009 dopo le proteste contro la creazione di un secondo centro detentivo per migranti: si è impegnato sul territorio, ha denunciato e ha raccolto la memoria degli sbarchi, oggetti rinvenuti sui barconi usati dai migranti per attraversare lo stretto di Sicilia. Così sono nati PortoM, esposizione permanente degli oggetti ritrovati e il LampedusainFestival.
L’idea alla base del festival è una piccola rivoluzione copernicana: utilizzare le immagini, in forma soprattutto audiovisiva, per mettere al centro l’isola come esempio di integrazione e forza e non esclusivamente di rassegnazione e perdita della speranza.
Si legge sul sito: “Storie, incontri, vissuti, flussi migratori, culture che appartengono al bacino Mediterraneo. Il LampedusainFestival è un concorso per filmmakers, un linguaggio nuovo capace di parlare ai giovani, aperto a tutti, italiani e stranieri, su temi attuali e importanti, su temi che hanno fatto conoscere a tutta l’Italia il Comune di Lampedusa come una comunità capace di dare speranza”.
Cinque giorni in cui l’isola degli sbarchi diventa un laboratorio artistico tra film in concorso e non, mostre fotografiche e presentazioni di vario genere. Il festival è uno di quegli esempi piccoli e virtuosi che fanno intravedere un po’ di luce in fondo al tunnel.
Lampedusa si fa protagonista di tante storie che la raccontano e raccontano di un altro modo di farsi vedere, di esserci. Oltre agli eventi in programma è stato organizzato uno spazio in cui dormire con il sacco al pelo a prezzi stracciati, perché un evento così può vivere solo grazie alla collaborazione e ad una partecipazione reale, nel senso di concreta, di molti. Quindi c’è una campagna di raccolta fondi dal basso, su Indiegogo e ci sono molte collaborazioni, Chiesa Valdese, U.n.a.r (ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali) e Recosol (Rete comuni solidali).
Soprattutto però c’è un’isola che non si arrende all’etichetta di cimitero del mediterraneo e mostra di sé il suo volto sorridente, quello in festa.