Assicurano i nostri nonni che si stava meglio quando si stava peggio. Hanno ragione, non gli si può dar torto. Ed è un discorso valido anche per un certo modo di fare giornalismo, ma pensiamo possa tornare utile la vicenda-Tavecchio e la sua arcinota “battuta” sulle banane. Beh, ci credete che quando ha nominato Optì Pobà stavano tutti a ridere? Ci fosse stato qualcuno capace di chiedergli “a Tavecchio, ma che stai a dì?”. Poi, ovvio, sono diventati tutti giudici quando s’è innescata la polemica, che ha molto del casuale per come è stata estrapolata dal contesto e comunque resta figlia di certi cronisti che se non hanno l’esclusiva sull’evento vanno in giro a fare le pulci per cercare lo scoop, a costo di ammazzare la madre.
Quel certo tipo di far cronaca oggi è un imperativo: vige l’urlo più della “url”, forse perché si confonde la chiamata dello strillone d’un tempo con il chiacchiericcio delle comari al mercato; regnano i paroloni come “pazzesco” e le frasi ridondanti tipo “in quel di” per descrivere un “moto a luogo”, roba che neanche nonna Peppina, che scriveva con la sinistra e aveva fatto si e no la quinta elementare, osò tanto, mai, neppure sul foglio della spesa; strabordano gli scoop, o pseudotali, perché adesso la frase di rito è “ma questa è una non notizia” e il capo – sia editore che direttore, capocronista di turno o chi s’arroga in ogni caso il diritto di trattare chiunque come subalterno – s’aspetta sempre qualcosa che gli altri non hanno, tipo l’intervista in esclusiva al Dalai Lama o la foto del papa che tira la coda al gatto.
Certo è che il giornalista d’oggi, italiano medio che posta sui social network le frasi fatte di Oriana Fallaci e si sente Indro Montanelli pure quando scrive una breve, ha fatto l’apprendistato osservando il mini schermo, e dunque ragiona come quei pionieri della televisione commerciale che s’industriavano per raccogliere pubblicità e andavano in onda senza parte né arte nel tentativo d’emulare i cronisti veri. Così gli svarioni di trenta, quarant’anni fa si sono trasformati nel tempo in abitudine, e mentre la parola “tecnica” adesso è trasformata in “tennica” s’è ampliata la schiera dei dilettanti allo sbaraglio che avrebbero fatto la fortuna di Corrado Mantoni.
Perché questa professione la possono far tutti, gente corretta e gente corrotta, dipendenti delle ferrovie dello stato e impiegati delle poste, traffichini e millantatori, esperti di marketing ed ex calciatori, tipo quelli che “schifafano” chi gli si presentava davanti con un taccuino o con un microfono e oggi fanno la fila per fare i commentatori; e il bello è che certi editori, pur di assoldare l’ex “tira calci a un pallone” scavalcano i principi e dettano nuove regole tagliando i cronisti veri per pagare “chi è stato e non lo è più”, perché gli anni passano per tutti.
Poi ci stanno i prevenuti, quelli che partono dalla redazione convinti di portare a casa la nuova teoria della relatività, leggasi creare il caos a margine di qualche conferenza stampa nel nome di un’intellettualità apparentemente infrangibile. Perché lo scoop se uno non ce l’ha, fa l’impossibile per ottenerlo. A costo di scaraventare un vaso di fiori dal balcone per vedere l’effetto che fa. Poi, se quel vaso prende in testa una signora con la sporta, poco importa. Lo scoop è servito.