
L’ultimo è stato Nando Martellini, il suo triplice “campioni del mondo” fu spontaneo e non studiato a tavolino. Ma quello era un altro modo di portare avanti la professione, senza calcoli, raccomandazioni e lottizzazioni: si raccontavano le notizie punto e basta. Poi sono venuti quel “cielo è azzurro sopra Berlino” e chi trasformò il tris del compianto Nando in un poker esclamativo da dimenticare in fretta. E dire che ci lamentavamo dei “tutto molto bello!” di Pizzul, per tacere dei pittoreschi svarioni griffati Novantesimo minuto.
Ora è diverso, maledettamente distruttivo, e chi racconta lo sport pare si senta male se non riesce a svelare lo scoop minuto per minuto. Buona cosa l’enfasi, che diventa stucchevole quando viene pilotata in maniera provinciale. Poi “dio” ce ne scampi e liberi da quelli che s’addentrano in pronunce impossibili, per tacere di chi deve assolutamente trovare la magagna. Se un calciatore svirgola un pallone a inizio partita o se un portiere sbaglia un’uscita, per tutto l’arco del match quella sbavatura sarà ricordata dal telecronista e dalla “spalla” di turno, che invece di soffermarsi su un gesto tecnico pregevole, indica a ripetizione al telespettatore di turno lo sbaglio. Come se lui fosse più bravo di chi sta in campo.
Ovvio, gli opinionisti meritano un capitolo a parte, e intendo gli opinionisti tecnici, cioè quella valanga di ex calciatori e allenatori esonerati (se non lo fossero, starebbero in panchina, è ovvio; quindi alla platea televisiva vengono offerte le “scartine”, non c’è altra spiegazione) pronti a discettare e a disquisire fra un congiuntivo che con loro si deprime e un aggettivo qualificativo che viene abolito in favore di nuove terminologie, introvabili per forza di cosa sullo Zingarelli.
Nel Belpaese delle “partite in ghiacchio”, del “pazzesco” e del “ma cosa ha fatto”, regnano anche i pick and roll del basket, termine abusatissimo nelle finali Nba per esempio. Chi si lamentava degli interventi in stile “scusate, calcio d’angolo per il Bari” dettati da Ezio Luzzi, è servito. E’ vero, al peggio non c’è mai fine. Del resto, se perde verve pure Argentina-Bosnia nel mondiale 2014, non c’è altra spiegazione: perché dal pulpito invece di raccontare la partita s’è perso tempo a sottolineare la vicenda di Safet Susic, allenatore balcanico che non giocò mai in Italia perché firmo due contratti con altrettante squadre, Inter e Torino. Una perla rammentata da chi pare pagato solo per trovare scheletri nell’armadio. Lo sport è ben altra cosa.