Fra poco sapremo se l‘Olimpiade 2020 sarà organizzata dai giapponesi o dagli iberici. Fra poco sapremo, e allora intuiremo se Roma potrà riproporre la candidatura per il 2024. Beninteso, non è che se Tokyo 2020 diventerà realtà la città eterna automaticamente si candiderà. Servirà l’appoggio del governo, del Comune, della Provincia e della Regione. Servirà che i capoccioni riusciranno a mettersi d’accordo, altrimenti finirà a tarallucci e vino, pizza e mandolino, e saremo coperti di ridicolo come avvenne per la designazione dell’Europeo di calcio.
La testa dura sembra essere quella di Ignazio Marino, sindaco che pedala per arrampicarsi in Campidoglio ma che nicchia davanti all’ipotesi d’una Roma a cinque cerchi. Ha i suoi motivi, che magari snocciolerà nel momento in cui ci sarà da dire si o no. Certo è che i problemi, Marino a parte, non mancano.
Da noi c’è mancanza di impianti sportivi ma un’ampia gamma di tifosi imbecilli, gente che fischia i colored per partito preso e si porta le mozzarelle sugli spalti del Foro Italico per tirarle addosso ai tennisti; da noi c’è una crisi imperante e gente che arranca, pronta a sognare l’Olimpiade per lavorare pur con la consapevolezza che servirà la raccomandazione perfino per fare il volontario; da noi se la città si ferma per una maratona gli automobilisti vanno sull’orlo d’una crisi di nervi e manca davvero la cultura sportiva, basta dare un’occhiata alla stampa di settore per rendersi conto che ormai vale più un finto scoop che una notizia vera.
Tutta colpa di De Coubertin e del suo motto. Che poi l’aveva mutuato dal nipote e neanche era suo. Sì, era meglio che i Giochi l’inventasse un manovale e non un barone.