Muore Gilmar (dos Santos Neves), portiere due volte campione del mondo con la nazionale brasiliana, anni d’oro della coppa Rimet 1958 e 1962, ma il sistema non si ferma per ricordarlo, manca il rispetto per l’amarcord e soprattutto si preferisce la shakerata dei salotti televisivi alla storia. Le alte sfere credono che i maggiori ascolti vengano regalati dai volti appesantiti dal cerone, dalle facce di plastica insomma, dalle casualità sparate a vanvera. Dal “nientismo cosmico”, dalle chiacchiere alla rinfusa senza soggetti né oggetti ma dense di dietrologia spicciola. Funziona così, dicono sia la legge di mercato, anche se nessuno ci ha mai mostrato questo benedetto “fattore X” degli ascolti televisivi. Noi pensiamo sia la voglia del voler fare “tutta tara”, il prodotto finito col minimo indispensabile. “Novantesimo minuto” oggi, a distanza di anni, viene proposto come macchietta televisiva ma a osservare bene le riproposizioni ci si rende conto che i tre minuti di cronaca erano raccontati e ragionati. Oggi viene proposto il servizio tagliando e incollando gli spezzoni della telecronaca, senza che nessuno spieghi quel qualcosa in più che un inviato deve vedere per forza di cose. Oggi nessuno ricorda più che il diciassettenne Pelè pianse sulla spalla di Gilmar, nessuno ci fa più caso. Oggi pare faccia più notizia la telefonata di un tecnico che non conosce la più stupida delle regole dell’italico calcio e il sistema, invece di proporre quel fermo immagine come spot pubblicitario, comincia a ragionare sull’atto d’accusa da intimare all’allenatore francese. Oggi una telefonata non allunga più la vita, ma diventa l’atroce resa dei conti di chi vuole a tutti i costi fare lo scoop col marcio che, spesso, neanche c’è.