La scomparsa di Ferruccio Mazzola, sessantottenne figlio dell’indimenticabile Valentino e fratello del baffuto Sandro fa tornare indietro nel tempo, a quel calcio ormai sbiadito fatto di allenamenti con tute che parevano pigiami, nella fanga più assoluta e con scarpini totalmente neri, senza griffe di sponsor, triplici strisce, swosh o altro. Perché “Uccio”, uno scudetto da comprimario con la Lazio delle pistole e un libro-denuncia sul doping che gli fece tagliare i ponti col pianeta football, era rimasto un’iconcina del passato, punto e basta.
Non s’era riciclato come opioninista dell’etere né come spalla dei telecronisti-urlatori, ed era uscito in punta di piedi da quello che ci si ostina ancora oggi a chiamare dorato mondo del pallone. Però si dava da fare con i disagiati, e allenava una squadra di periferia, lontano ovviamente dai riflettori e a scanso di equivoci distante anni luce da ogni ipotesi di “aggancio” al presente.
Un giorno pensò perfino di ridare vita alla Fiorentina, quando era sepolta e defunta, fallita e aveva perfino cambiato denominazione sociale. Ma non aveva soldi né sponsor politici alle spalle, e l’idea a dir la verità neanche era malvagia, per come l’aveva strutturata. Adesso che è morto per lui non ci saranno titoli sovraccarichi d’emozione, ma note righe d’una fredda cronaca. Forse perché quel libro di verità scomode sul doping aveva fatto centro.